martedì 2 novembre 2021

Mio padre era un uomo libero


 



Mio padre era un uomo libero e da uomo libero ha vissuto, sempre, fino al suo ultimo respiro. Non è mai stato schiavo di nulla mio padre, di un’ideologia, di un’idea, di un sogno, di un desiderio, di nulla, mai. Perché la vita è tale se si basa su tante ragioni mai su una soltanto.
Silenziosamente, ci ha educati a essere liberi.
Mio padre non è stato mai servo, mai sottomesso a niente, a nessuno, nemmeno al suo stesso padre, figuriamoci poi essere servo di uno stato, di un lavoro, di un padrone.
Mio padre era un uomo capace di mettere il suo sapere, ciò che aveva studiato, imparato, in relazione con la vita vera, quella concreta, di tutti i giorni, per questo aveva una capacità di penetrazione della realtà che andava oltre quello che “sembrava” accadere. Per questa ragione mio padre era un uomo colto pur non essendo un intellettuale. Ci ha insegnato a guardare ogni cosa, ogni mondo, ogni realtà, ogni uomo da ogni angolazione e sfumatura possibile, mai solo dalla nostra, da quella del nostro retroterra culturale, esperienziale.
Mio padre era un uomo libero e nella libertà della realtà ci ha fatti crescere, vivere, seppur con quelle mille paure genitoriali che ad un certo punto è stato costretto a reprimere, perché si rese conto che proprio lui ci aveva educati alla libertà, a lottare per essa anche con lui, con tutti se necessario, seppur nel rispetto delle regole del vivere civile, umano. Mio padre amava la gente, aveva grande considerazione e stima del pescatore, dell’uomo semplice, della strada, così come del professionista, dell’imprenditore, di chi era riuscito ad arrivare la dove lui non era riuscito, per mille ragioni diverse, compresa quello di essere troppo libero. Aveva rispetto di chi con le sue capacità era arrivato più lontano degli altri, senza mai invidia o gelosia anzi.. e a tutto questo ci ha educati. Non ci ha mai suggerito cosa dovevamo pensare, dire, votare.
Mio padre è nato libero, ha vissuto da uomo libero senza mai tradire chi amava, perché questo avrebbe significato tradire se stesso, diceva, non soltanto noi tutti. Ha vissuto senza mai tradire la sua dignità di uomo libero, e senza mai far male a nessuno. Non voleva essere schiavo di nulla mio padre, nemmeno della malattia, al punto da affermare di preferire la morte alla colostomia. Allora non avevo capito fino in fondo quanto fosse libero il suo spirito, non volevo, potevo credere, che preferisse morire piuttosto che vivere il più a lungo possibile insieme a noi. Non avevo capito nulla. Mi sentivo ferita, incredula, risentita. Accecata dal dolore, da quell'egoismo che ti porta a non volerti arrendere, ad insistere sulle cure contro ogni evidenza, solo per avere chi ami ancora vicino un po’ di più, una settimana in più, un giorno in più, lì nella stanza accanto; solo per sapere che esiste ancora, che c’è. Non avevo ancora capito del tutto, non volevo, non potevo. Non volevo comprendere ciò che oggi vedo con chiarezza. Oggi so, con assoluta certezza, che mio padre era un uomo talmente libero da rifiutare quelle cure che lo rendevano schiavo di una vita non sua, di un esistere che con la vita ormai, per lui, aveva poco a che fare, anche quando sembrava stare bene. Gli mancava la libertà di pensare al futuro, di vedere il domani. La libertà di sapersi indipendente da chiunque, da qualunque cosa. Perché chi ama e onora la vita ama la libertà.
Era talmente libero da decidere di morire. E questo perché morire libero, che sia di cancro, ma oggi posso dire anche di Covid per un uomo con una dignità è più importante che vivere anche cent’anni ma da schiavo.
Non era corruttibile, non era ricattabile, non era manipolabile mio padre, e nonostante fosse un uomo genuino, niente e nessuno poteva prenderlo in giro, rincoglionirlo, in nome di nulla, che fosse Dio, la Salute, il Lavoro, il Denaro. Nemmeno tutto l’amore viscerale che aveva per noi è riuscito a incatenarlo, a cambiarlo.
Mio padre era un uomo libero e oggi lo percepisco più VIVO che mai; più che mai ne percepisco la grandezza, oggi dove (quasi) ovunque io mi volti, vedo, leggo e sento solo codardi, ciechi schiavi, servi inutili al presente e al futuro. Distruttori di un presente conquistato e costruito col sangue, distruttori di quel futuro che mai avremmo pensato a rischio.
Mio padre è vivo, esiste, perché era un UOMO.
Solo chi ha un’intelligenza, un cuore, uno spirito, liberi da ogni condizionamento, da ogni strumentalizzazione, si accorge davvero di vivere, di essere nato. Solo chi ama la libertà vive e capisce la vita. Mio padre è vivo perché era tutto questo, perché io, sono tutto questo.




giovedì 31 dicembre 2020

2020 Odissea dentro casa

Sono le ultime ore di un anno strano, e le ultime ore se mi soffermo a contarle, mi fanno sempre più paura di tutte le altre; ho sempre il terrore che possano portarsi via qualcos'altro, mai che possano aggiungere qualcosa di buono. Ogni anno, come ogni essere umano, come ogni cosa, non è mai interamente buono o interamente cattivo, anche quando non riusciamo a capire gli avvenimenti, a decodificare la realtà, c’è sempre qualcosa che è buona anche se non riusciamo a vederla o cattiva anche se non riusciamo a capirlo. È stato un anno decisivo soprattutto nel male, e per ognuno di noi, e per il mondo intero, anche se la nostra capacità di penetrazione della realtà è ridotta, sempre, ma spesso ancora di più quando crediamo di essere geni in possesso di un verbo che poi in realtà non interessa a nessuno, e che chi ci vuole bene subisce con dispiacere e delusione.Un anno al confine con la fantascienza, che ci ha gettati nell'incredulità e nella consapevolezza di essere in realtà soli, non comunità, non società; soli senza nessuna tutela, soli contro un mostro che ha mille volti, mille nomi, mille modi per tradirci. Io che sono nata negli anni 70 mi sento un essere preistorico che ha vissuto in un altro mondo, un mondo che pian piano senza che io me ne accorgessi mi hanno disintegrato davanti agli occhi. Inimmaginabile, incomprensibile, fuori da ogni umana logica.  Ho sempre visto la casa come un rifugio, quasi il mio luogo segreto a cui tornare la sera, un luogo di calore, e silenzio, e amore in cui togliersi le scarpe e godersi un bicchiere di vino. L’inizio di quest’anno nella costrizione della chiusura in casa, una costrizione che ha cambiato gli equilibri, lavorativi, affettivi, umani, mi sono ritrovata a vivere la casa quasi fosse un rifugio antiatomico. Il silenzio ha assunto significati diversi, il mondo fuori mi è sembrato lontano, inaccessibile, più pericoloso di sempre. Persino dell’aria ho avuto paura, quell'aria che io a volte tiro a fatica nei polmoni, perché porta con se mille allergeni che mi fanno soffrire e ricorrere a farmaci che mi aiutano a respirare meglio. Non  avevo bisogno di un’altra paura, che adesso non ho più per fortuna, non avevo bisogno della lontananza dalla mia famiglia per amarla o apprezzarla di più, non avevo bisogno di nulla di quello che ho dovuto vivere e non vivere. Non avevo bisogno di tempo per riflettere su nulla, lo faccio già di continuo. Sono sempre riuscita a ritagliare del tempo per me, per le mie cose, i miei pensieri, per quello per cui per me vale la pena. Per quello che mi ha sempre salvato dalle difficoltà e brutture della vita. Non avevo bisogno di un’odissea casalinga che dandoti apparentemente più tempo, in realtà te lo toglie. Non ho dipinto un solo quadro, mi sono arenata nella scrittura del mio secondo libro; arenata, spiaggiata. Non ho potuto fare il tour di presentazioni del primo che è uscito proprio in questo 2020 buttandomi addosso la certezza di essere chi ho sempre creduto, perchè non puoi essere qualcosa che il mondo non ti riconosce, e la certezza di essere qui per quella ragione: scrivere. E ho scritto, ho scritto tanto, ma per lavoro. Ho iniziato delle collaborazioni con dei giornali, di cui uno americano. Ho ritrovato un cugino lontano che sta ricostruendo il nostro albero genealogico; l’America è stata anche un po’ la nostra seconda patria, grazie a Joe Di Maggio, ed essere letta li mi fa sentire come a cavallo fra due mondi. Non ho letto più libri che in altri anni, li ho letti anche per scriverne, perchè leggere è stata sempre una priorità nella mia vita, sin da quando ho imparato a farlo. Questo 2020 nel bene e nel male mi ha dato di più di quanto mi abbia tolto per fortuna, perché gli anni che lo hanno preceduto mi hanno solo derubato senza restituirmi niente che non fosse quel senso di mancanza e perdita che non mi abbandona mai. Anche se i miei morti sono sempre con me, mi è mancato il non poter andare a visitare le loro tombe. Abbiamo anche un corpo, ed è importante, così come è importante il luogo in cui è custodito quando lo lasciamo. Non è vero che le tombe sono solo tombe, e quando per qualche tempo me ne allontano, i miei affetti mi richiamo venendomi in sogno. È un luogo sacro il cimitero, e sorrido ogni volta che entrando, in qualsiasi giorno della settimana, di qualsiasi mese, lo ritrovo sempre pieno di fiori freschi, vivi come il ricordo, l’assenza, il dolore e quell'amore che continua ad essere cura. È stato un anno nel limbo, un po’ come un breve viaggio dantesco. Un anno sospeso nell'incredulità, nello sgomento, nella visione di un mondo che torna irrimediabilmente indietro perché non esiste più il coraggio, la libertà dell'intelligenza, l’onestà della dignità. Non esiste più tutto quello che ci aveva portato fino a qui col sacrificio del sangue, del dolore, della forza del genio dell’uomo Ulisse, dell’uomo Dante, Leonardo, Raffaello e potrei nominarli tutti, intellettuali, scrittori, imperatori, condottieri, guerrieri, grandi statisti, politici, UOMINI. Un anno sospeso nell'incredulità, nello sgomento, nella visione di un mondo che torna irrimediabilmente indietro perché non esiste più l’uomo.

martedì 2 giugno 2020

venerdì 22 maggio 2020

"Acqua Nera" di Joyce Carol Oates torna in libreria con Il Saggiatore.
Oggi la mia recensione su #metropolitanmagazine

martedì 10 marzo 2020

#scatoleparlanti


Sul finire dell’estate mi sono rotta un polso. Per essere più precisi mi sono fratturata un osso di congiunzione fra la mano e il polso, un osso che non sapevo nemmeno di avere. Trenta giorni di quasi immobilità, trenta giorni in cui tutte le mie funzioni motorie sono state fortemente limitate, alcune lo erano oggettivamente, altre solo psicologicamente. Sono caduta da cavallo diverse volte, sono scivolata con motorini, moto, biciclette, pattini a rotelle, in linea e da ghiaccio, ho commesso molte imprudenze adesso so, e questo mi faceva pensare forse di essere immune a rotture e gesso, di  poterla fare sempre franca fino a quando non sono banalmente scivolata in casa. È stata quella immobilità che mi ha ricordato che una volta guarita , dovevo riaprire tutte le mie scatole, una per una, tirare fuori ogni cosa e ricominciare. Ricominciare a dipingere, provare a scolpire, a creare e ricreare, ricominciare a scrivere. In una di quelle scatole avevo chiuso questo blog, intenzionata a non riaprirlo, se non ti pubblicano non sei uno scrittore così come  se non eserciti non sei un avvocato, un ingegnere, un architetto, se non insegni in una scuola, non sei un insegnante, insomma non sei qualcosa che non ti venga riconosciuta dalla società in cui vivi. E per citare qualcuno : l’unica cosa che scriviamo per noi è la lista della spesa. Non volevo essere come quelli che sono qualcosa solo nella loro testa, nei loro desideri, o ancora più spesso nelle loro illusioni. Non sono nemmeno una di quelle persone a cui interessa sembrare intelligente a tutti i costi, bastano davvero poche cose, poche parole anche, per definire una persona.  Da bambina in un compito in classe a cui l’insegnante di lettere fece fare il giro della scuola, scrissi: io non parlo molto, dico solo le cose che devo dire.
E oggi è ancora così,  parlo solo delle cose che sono sicura di sapere,  di conoscere a fondo e anche in quel caso mi capita spesso di pensare che potrei avere ragione solo a metà. È per questo che non cinguetto su twitter o blatero di qualsiasi argomento su qualunque social come se fossi un’autorevole celebrità  dei cui consigli e delle cui brillanti considerazioni il mondo ha bisogno. Ho imparato che non ci si può relazionare con chiunque e che è inutile discutere con mondi diversi, non cambia me, non cambia l’altro e soprattutto non cambia la cosa in sé. Io sono, punto, e questo basta, e questo è tutto. Sono e scrivo. Ho iniziato un altro libro. Con gli anni anche se non dipingi, quando riprendi lo fai meglio di quando hai lasciato e non sai nemmeno come sia possibile, ed è con questa speranza applicata  alla scrittura che ho ripreso a scrivere. È stato  durante una  pausa da lavoro che senza pensarci più di tanto, anzi senza nemmeno sperarci in realtà, ho spedito la bozza di un mio libro ad un indirizzo apparso in pubblicità, indirizzo al quale corrispondeva una casa editrice giovane, nuova, libera e soprattutto non a pagamento e con un nome familiare alla mia testa : Scatole parlanti. E sarà proprio in una di quelle scatole che a fine mese uscirà il mio libro : Greta.
 Qualunque cosa tu voglia fare con quello che sai e con quello che credi di sapere, potere fare, devi avere qualcuno che lo riconosca e creda in te, che investa su di te. Ed io per questo devo ringraziare Fortunato, il direttore editoriale e poi Gabriele il mio editor , già il solo fatto di averne uno mi fa sorridere, se poi penso alla delicatezza dimostrata nel prendersi cura dei miei pensieri, mi rendo conto di essere stata fortunata due volte. Grazie a Luca che ha tradotto il contenuto delle mie parole in un immagine di copertina che presto vi farò vedere, grazie ad ognuno di loro per essere una buona squadra, una bella realtà grazie alla quale muoverò i primi passi in un mondo in cui spero di poter crescere, finalmente.

domenica 30 dicembre 2018

La somma di quello che mi è rimasto. Parte 2

Cinque anni fa mandavo in rete questo blog partendo da quello che percepivo come il mio vero ingresso nell'età adulta, e non perchè vivessi da sola ormai da sei anni, mi sentivo finalmente adulta da un punto di vista emotivo, psicologico, umano, di consapevolezza del sè e del vivere, e tutto questo con grande sollievo. La somma di quello che mi è rimasto è infinitamente migliore di tutto quello che non ho più, scrivevo, e con questo bilancio chiudevo un lungo periodo della mia vita e mi preparavo ad affrontarne un altro, quello che mi ha portato fino a qui, ad oggi, dove la somma di quello che mi è rimasto è completamente diversa da quella di allora, dove un bilancio non sarebbe più possibile, dove l'età adulta sta progressivamente lasciando il posto ad un'altra età, fatta solo di quella maturità molto vicina al tutto compiuto. Di questi anni ho ancora dentro in maggior misura tutto quello che ho irrimediabilmente perduto.
Ho perso l'amico geniale, si ho avuto anche io il mio, quello che fra tutti non solo mi amava di più, ma anche meglio: con discrezione, intelligenza, delicatezza d'animo, tutte qualità che già da sole lo rendevano diverso dalla maggior parte della gente; ho perso quell'amico grazie al quale ho ricominciato a scrivere, grazie al quale ho ritrovato parte di chi nascondevo in me.
Ho perso la cugina con la quale avevo vissuto fianco a fianco gli ultimi due anni della sua e della mia vita, e oggi non so come abbiamo potuto fare a meno di noi per molti degli anni prima, e non so ancora come farò a continuare per gli anni che forse avrò dopo.
Ho perso mio padre, e non c'è niente che io possa scrivere per esprimere quello che questa perdita significhi per me, posso solo dire che nel punto più profondo del mio dolore, adesso so che non mi sento più adulta ma vecchia, molto vecchia.
Ho perso il lavoro di tutta la mia vita e ho ricominciato da un altro, anche grazie a tutto quello che avevo imparato da quel vivere sempre in mezzo alla gente, davanti alla gente, dentro la testa, i bisogni, i gusti, il modo di vedere della gente, oltre quel banco che mi separava da loro in tutto, su tutto, per tutto. E forse la chiave è stata proprio questa, il mio ricominciare, aprire una porta nuova oltre la quale c'era un'altra parte di me con risorse che non conoscevo, e che continuo ad esplorare, ad imparare, a scoprire ancora, anche se qualche volta mi fermo ad osservarle incredula; mi domando quanto possano durare, se dopo tanto andare avanti, continuare, sfondare muri fatti di ogni "sostanza" possibile, possano improvvisamente crollare e abbandonarmi. Siamo fatti per la sopravvivenza è vero, non c'è un'altra spiegazione al nostro restare vivi nonostante tutto, sempre. La verità è che oggi sono adulta per ragioni che sono completamente diverse da quelle di allora. La verità è che oggi non vedo più il tempo come un alleato fedele, perchè al contrario di allora, oggi so che non è vero che guarisce qualsiasi ferita, e che il dolore può diventare sempre più grande, sempre più profondo anche quando il sorriso alla vita sembra rimanere immutato. Oggi nella somma che sembra più una sottrazione, spesso un furto, un saccheggio della mia vita, ho però quell'amore che ti dice: io abito nel tuo cuore, e anche se spesso è disordinato, inquieto, sottosopra, duro o in arresto temporaneo, io voglio vivere li dentro, vivo lì, e se tu mi cacci, io non ho e non avrò mai altro posto dove andare. Oggi a Tabata, quella mia gatta dal passo felpato, si è aggiunta Bia prima, per portare anche a lei altro amore, compagnia, complicità, maternità, e Wendy dopo, trovata sotto casa in una notte di fine agosto, affamata, malata, respinta dalla sua stessa madre. Sarebbero state le tre sorelle occhi di gatto se non fosse arrivata Priscilla, la mia "cana", la nostra amatissima ex barbona ora assurta a regina, trovata e portata a casa anche lei una notte, ma fredda, e di Gennaio, ormai due anni fa. Potrei riempire molte pagine solo descrivendo ognuna di loro nella sua diversità, particolarità, mi limito solo a dire invece, che sono portatrici di gioia, calore, amore, tenerezza, e certo lavoro, impegno, responsabilità, ma sarò sempre io ad essere in debito con ognuna di loro per il modo in cui sanno rendere più piena la mia vita e il mio cuore. Infine poco più di tre mesi fa, al resto della mia famiglia si è aggiunta Ginevra. Mio fratello, quello che io sogno sempre ancora bambino anche se è un uomo da più di un pezzo, mio fratello quello che cullavo sulle ginocchia per farlo addormentare, mio fratello adesso è padre ed ha portato nelle nostre vite come sospese, mute, nei nostri cuori come congelati, questa nuova vita che ha sciolto il ghiaccio del cuore, dissolto le nuvole della mente, e trasformato in gioia la pioggia degli occhi ridando improvvisamente senso al futuro.
Adesso che mi capita spesso di cullare sua figlia proprio come facevo con lui, mi sembra che questi trentasette anni siano passati in un attimo nonostante dentro ci sia stato così tanto, così tutto, anche se di tutto purtroppo non si può mai parlare, anche se non sai mai la direzione in cui qualsiasi poco o niente o tutto possa portarti.
 Ginevra è la più bella, Ginevra è la mia stella, le canto rubando le parole di suo padre, perchè adesso lei è la stella da seguire per tutti noi, e chissà che prima o poi non ne arrivi anche un'altra.

venerdì 25 maggio 2018

Un lungo #addio

E' passato quasi un anno ormai da quando vivo in un mondo di cui mio padre non fa più parte. Mi capita spesso di sognarlo, e tutte le volte, al risveglio, penso che mi basti tornare in quella che è stata la nostra casa per trovarlo ancora li, o che possa bastare lo squillo del telefono per farmi sentire di nuovo la sua voce. Quando ancora il tempo in cui quelli che più abbiamo amato se ne sono andati, è più breve di quello che abbiamo vissuto con loro, l'abitudie all'assenza non riesce a farsi strada dentro di noi. Ed ecco che ci sembra di averli sempre vicino, o anche di più, di portarceli dentro. Ci sono momenti in cui mi sembra che sia mio padre a sorridere al posto mio, ad assumere una certa mia postura, a muovere le mie mani, a toccare le mie labbra con quel suo gesto nervoso, assorto. Dei mie fratelli sono quella che gli somiglia di più, quella in cui anche loro scorgono tante cose di lui. Mi accorgo di quando i loro sguardi  si perdono dentro un mio gesto,o una qualche espressione, sguardi che rimangono  muti, in cui vedo chiaramente riflessa l'immagine di mio padre, anche se nessuno di noi tre dice niente, magari per non dispiacere l'altro o perchè ancora speriamo che solo per il fatto di non dirlo, possa non essere vero. Ma è vero, troppo vero, ed anche se ci aveva insegnato a farlo sin da ragazzini, camminare senza di lui, qualche volta, ancora ci disorienta, ci fa sentire soli e ancor più responsabili l'uno dell'altro.Pur avendo personalità e caratteri diversi, la vita di mio padre, quello che lui aveva costruito per noi, ci dava un'identità individuale e d'insieme, adesso invece ci sembra di essere rimasti semplicemente, solamente noi. Mi sorprendo ancora, tutte le volte che incrocio una macchina come la sua, a guardare se dentro ci sia lui, lui col suo sguardo intenso, lui che come me, alla guida  non accendeva mai la radio per evitare che interferisse con i suoi pensieri. Ma mio padre non fa più parte di questo mondo, non guiderà più la sua macchina, non scorgerò mai più  la sua andatua per strada; le bancherelle di quel mercato dove quasi ogni giorno andava a fare la spesa non saranno più accarezzate dal suo sguardo indagatore. Non lo troverò più seduto sul divano entrando a casa, e nemmeno nel suo letto. Per tutto il tempo della sua malattia, anche quando sembrava stare bene, ho cercato di impremere nei miei occhi l'immagine di lui, il suo volto, il colore della sua pelle, ogni linea che dava vita ai suoi occhi, al suo naso, alla sue labbra, perchè sentivo, sapevo che stava scivolando via, anche quando sembrava prendere il sopravvento lui, attaccare, segnare il punto oltrepassando la rete. Ho cercato stando seduta al suo fianco, in silenzio per non tradirmi, di assorbire la sua presenza fisica, il suo essere lì, il suo respirare a pochi centimetri da me. Ho cercato silenziosamente di integrarlo in me per non farlo andare mai via, e credo di esserci riuscita. Ho cominciato a dirgli addio molto prima che se ne andasse, e da quando lo ha fatto prego perchè un addio non lo sia stato e non lo sia mai. Domani ci sarà una festa, una manifestazione durante la quale gli assegneranno una targa, un premio alla sua carriera di calciatore. E allora in questi giorni ho ripensato a quanto poco sappiamo della vita dei nostri genitori in realtà, della loro vita prima di noi. Abbiamo sempre la presunzione, giovane, di pensare che loro siano iniziati con noi, come tutto quanto, ma al contrario di loro  invece, che ci vedono venire al mondo e crescere e che quindi sanno di noi infinitamente di più di quanto noi stessi crediamo, noi che li conosciamo già adulti ci siamo persi tutta la loro giovinezza, quegli anni decisivi che li hanno portati fino a noi, fino ad essere quelli che piano impariamo a conoscere. I suoi amici d'infanzia, i suoi compagni di squadra hanno avuto la sua gioventù, lo hanno visto come io non lo l'ho mai visto, lo hanno conosciuto come io non l'ho conosciuto, hanno condiviso con lui momenti della vita che io sconosco e che in realtà mai saprò. Da quando poi non c'è più, ho sentito tanti racconti affettuosi sulla sua persona e spesso sono rimasta incerta, anche un pò sgomenta proprio perchè mi sembra che non si parli di mio padre.Io ho avuto la sua età adulta, la sua maturità, loro lo hanno visto giovane, allegro, incline allo scherzo, con quella sua battuta sempre pronta, ma anche con le paure e le incertezze di chi sente la vita fortemente e fortemente ha paura di perderla. Io ho conosciuto un uomo diverso, introverso, riservato, moderato, una guida, un uomo che ci ha insegnato ad essere famiglia, ad essere quelli che siamo: onesti, uniti , amorevoli con noi e con gli altri. Nonostante gli anni e la vita con tutte le sue amarezze e difficoltà, ho capito alla fine che mio padre era rimasto un calciatore,quel calciatore che io non avevo mai conosciuto se non attraverso i ritagli dei giornali, anzi, forse, se possibile era diventato ancora piu bravo, perchè più forte di allora, perchè uomo e non più ragazzo. Quando il sorteggio gli ha assegnato l'avversario peggiore, quello che mai avrebbe voluto trovarsi di fronte, ha deciso di non abbattersi, di dargli filo da torcere, ed è sceso in campo consapevole di giocare una partita già persa a tavolino. E anche quando  la vita lo ha tradito, il corpo lo ha tradito, lui ha sorpreso tutti noi con la sua totale assenza di paura, che è qualcosa che va al di là dell'avere coraggio, e che lo ha portato ad uscire dal campo a testa alta, sorridendo, al punto che ancora oggi mi chiedo chi abbia davvero vinto e chi abbia perso. Si dice che i figli sono una scommessa, non so se per lui noi siamo stati una scommessa vinta o persa, se siamo stati dei buoni figli, so che viviamo e vivremo sempre come se lui ancora ci osservasse. Non esistono padri perfetti di figli perfetti, ne tantomeno il contrario,  ma l'amore, quello vero, viscerale che dà vita ai rapporti più forti, è fatto di sentimenti contrastanti, duri più spesso che teneri, e di fedeltà assoluta, quella fedeltà che ci ha stretto a lui dal nostro primo vagito al suo ultimo respiro, quella fedeltà amorosa e cieca che fa dei padri i soli uomini davvero amati.

martedì 27 febbraio 2018

#Nonmiavetefattoniente

Non mi avete fatto niente voglio interpretarlo come il doloroso grido di rabbia di chi sa con assoluta certezza che la sua vita sarebbe stata diversa se avesse avuto la fortuna che hanno quelli a cui nessuno e niente ha fatto nulla. La dolorosa rivalsa di chi si ama, si accetta, si rispetta pur avendo la consapevolezza che sarebbe stata una persona diversa se la sua vita avesse seguito un percorso regolare, se il mondo fosse stato un posto migliore, se gli uomini non rappresentassero il fallimento dell'umanità, se quelli incontrati sulla propria strada fossero stati uomini sani e non deviati, disturbati, cattivi, disumani. Non mi avete fatto niente, non mi avete tolto niente, è un'illusione, e nel particolare e nel generale. Un'illusione che suscita tenerezza e rispetto e amarezza. Nel generale riguarda chi si è visto la vita devastata da un dolore che si sarebbe potuto evitare senza la furia cieca, omicida, di chi, uccidendo, togliendo amore, affetti, vita ad altri esseri umani: i figli ai padri, i padri ai figli, solo per il citare il testo, condiziona inevitabilmente la nostra, perchè abbiamo dovuto imparare crescendo, che le cose peggiori non succedono solamente agli altri. E allora ci stringiamo, limitiamo sogni, confini, viaggi, abbiamo paura, e chi dice di non averne o mente o è incosciente o vive ancora nell'irrealtà della fanciullezza sottoponendosi consciamente o inconconsciamente al lavaggio del cervello delle marce sul coraggio che non abbiamo, che non abbiamo avuto e che non avremo mai più.
 Non ci avete fatto niente? Abbiamo permesso che ci faceste tutto invece, che ci toglieste tutto, perchè andare avanti nella vita non significa stare bene, perchè sorridere non significa non capire,essere tranquilli, non avere paura, terrore, di tutto, di tutti ormai, perchè non c'è bisogno di andare lontano per essere uccisi, a volte basta entrare in un ospedale fatto di uomini che hanno generato una società di gente che occupa posti che non dovrebbe occupare,o in un tribunale senza legge ormai, in un mondo fuori controllo. Basta sedersi a ridosso delle vetrate di un ristorante in una qualsiasi città, camminare per strada, andare in discoteca, ovunque è in agguato tutto quello che può distruggere la nostra vita in un soffio, la nostra cosi come quella di chi ci ama e amiamo, segnando per sempre il nostro destino. Non ci avete fatto niente? Viviamo carichi di dolore sottopelle, viviamo giorno per giorno, senza pensare a domani, respirando aria e cielo e mare come fosse un miracolo, esattamente come fa da sempre, chi è abituato alla guerra. Ogni giorno guardiamo chi amiamo con occhi e amore sempre nuovo, pregando che possa durare il più a lungo possibile, tutto, perchè in un mondo inquinato da ogni male come il nostro, è come giocare alla roulette, e non sappiamo chi geneticamente, ancestralmente, divinamente possa avere più fortuna. E' un mondo di menzogne dove la vita umana non ha più il valore che ci hanno insegnato quando eravamo bambini, almeno a noi di quegli anni che adesso sembrano appartenere ad un altro mondo. Chi ha scritto il testo, nel particolare quindi, più che ai terroristi lo dedica ad un padre violento-sostiene -un padre che lo ha costretto a scappare bambino dalla sua casa, dalla sua terra, per rifarsi una vita altrove: non mi hai fatto niente grida. Sorrido con amarezza per quello che altro non è che dolore, rabbia, perchè sappiamo bene che essere traditi da chi amiamo di più, è peggio che essere traditi dal mondo, dalla società, dagli amici, dagli uomini tutti. E non sarai mai la persona che saresti potuto essere, diventare, non riuscirai mai a dare interamente tutto quello che avresti potuto dare se solo fossi cresciuto come un bambino normale.Chi ti ha ha tradito ti ha tolto la capacità di guardare qualsiasi altro essere umano con fiducia, di guardarlo e non pensare che potrebbe essere marcio anche lui, quel dubbio di cui conosci l'origine accompagnerà per sempre tutti i tuoi rapporti anche se vorresti superarlo, non sentirlo più, è radicato in te con radici inestirpabili. Sarai quello sei, magari un passo avanti agli altri, dal momento che non sei stato mai bambino, magari, sotto molti aspetti, forse, sarai anche migliore di molti altri, ma rimarrai sempre dolente, dolorante, non potrai mai dimenticare nulla, e quando meno te lo aspetti avrai di nuovo il cuore rotto come se tutto fosse successo in quel monento, e occhi lucidi e profondi come pozzi dove solo tu riesci a vedere quello che ci sta dentro. Sarai sempre diverso, nel bene e nel male. In pochi hanno la fortuna di uscirne migliori, di uscirne più forti, molti, se va bene, diventano quello che gli è successo. Altri qualcosa di peggiore. E vale per tutta l'infanzia violata, derubata, in qualsiasi modo, in qualsiasi luogo.
 Non ci avete fatto niente? No, ci avete avete fatto tutto e continuate a farcelo, e non c'è modo di difendersi, non ce n'è più, non c'è mai stato un modo in realtà, e non so davvero quando e chi riuscirà a vedere la fine di tutto questo.

venerdì 27 ottobre 2017

Cambio pelle

Era da un po' di tempo che pensavo di cambiare vestito a questo mio blog-diario: lo guardavo e sentivo che non mi apparteneva più. E' un po' come quando ti guardi allo specchio e improvvisamente ti accorgi che non sei più quella che ancora ti ostini a vedere, sbagliando anche misura quando vai a comprare qualcosa ; si, certo, vedi ancora parte di tutta quelli che eri, ma non hai più la stessa taglia, la stessa pelle, lo stesso sguardo, la stessa luce. In quattro anni, ossia da quando ho deciso di mandarlo in rete, molte, troppe cose sono cambiate. E' cambiata la mia vita, persone che erano fondamentali per essa non ci sono più; se ne sono andate così, ingiustamente, malamente. Ho cambiato lavoro, casa, abitudini, ho cambiato sentimenti, e non sono più “da sola”. Chi per anni era rimasto un desiderio per me, un desiderio che ha motivato gran parte della mia scrittura, è diventato un ricordo, e un ricordo minore. Ho malinconie nuove, nuove nostalgie e mancanze , assenze pesanti da gestire, e gioie sentite in maniera diversa; gioie cariche di consapevolezza di felicità semplice che durano secondi, e ore di tristezza a seguire, perchè oggi quelle gioie e quelle consapevolezze fanno troppo male. Le sirene che tanto amavo, simbolo di conoscenza, grazia, bellezza, acqua e memoria, non mi trasmettono più quella loro musica, quel sogno, non riesco più a sentirne il canto.
Le sirene di Nizovtesev che nuotavano in questo blog mi sembra appartengano a un'altra vita, una di quelle che ho vissuto e che non c'è più. Sono cambiata io, o perlomeno ho cambiato pelle, ho dovuto, e non me ne sono neanche accorta, negli strati sottostanti magari sono rimasta la stessa, ma la pelle no, quella è cambiata, ed è per questo che ho dovuto cambiare vestito a questo mio specchio.

martedì 8 agosto 2017

Il #mondo visto dall'alto

Quando posso scegliere il posto in aereo, scelgo quello finestrino sull'ala, un po' perché ricordo che fu mio padre a consigliarmelo la prima volta , un po' perché per qualche strano scherzo della mente, quel posto, in quella posizione, mi fa sentire un po' più al sicuro. Mi immagino seduta lì con le gambe a penzoloni e le mani strette alle lamiere, come ci si siede da bambini su tutto quello che è troppo alto per noi. Immagino di poter respirare liberamente mentre osservo il mondo dall'alto con il vento tra i capelli. Per me che capisco poco di matematica e fisica l'aereo rimane un miracolo dell'uomo;decollare, prendere il volo rimane un'emozione sempre nuova, sempre diversa  e allo stesso tempo uguale e liberatoria. E dire che mio padre lo soffriva tanto, l'ansia per lui era più forte di tutto, quella stessa ansia che gli ha impedito spesso di vedere le cose con più lucidità, di fruire di emozioni grandi, di sentire appunto la libertà di alcuni momenti : istanti. Normalmente io ne vengo assalita durante l'imbarco o quando in volo si passa attaraverso una nuovola che fa sussultare l'aereo, o se avverto rumori  strani e movimeti diversi dell'equipaggio, "strani" e "diversi" solo per me ovviamente. Ricordo con un sorriso che durante i miei primi voli osservavo continuamente le espressioni facciali dello staff per capire se tutto procedeva per il verso giusto pur non avendo mai prestato attenzione alle spiegazioni iniziali su come in caso di emergenza si dovrebbe agire nella speranza di potersi salvare. Non credo che in aria ci possa salvare, non credo a nessuna possibilità di salvezza. Un aereo rimane una trappola di ferro, come lo è stato l'amore per me, come lo è adesso il dolore. E così durante l'imbarco mi capita  tutte le volte di osservare  le persone che voleranno con me, di immaginare le loro vite, le loro storie, non potendo fare a meno di chiedermi se il mio destino non sia legato a quello di tutti questi estranei, se non fossimo tutti già dalla nascita destinati a condividere il terrore degli ultimi momenti della nostra vita. Oggi che non sono più così giovane, oggi dopo tanti dolori e vicissitudini che mi hanno messo di fronte al fatto che anche io sono normale, che anche io sono come gli altri, che che a me è stato, è dato, di vivere il peggio della vita, oggi mi capita di pensare tutto questo anche quando sono insieme agli amici, alla mia famiglia, mi capita di chiedermi chi di noi se ne andrà per primo e in che modo, chi soffrirà prima, di più, e per quanto.Oggi mi capita di guardare tutti , o anche foto e filmati nemmeno tanto vecchi, e di chiedermi cosa avremmo fatto se solo avessimo saputo prima cosa stava  per succedere, cosa sarebbe successo a quelli che amiamo, quale sarebbe stato il nostro e il loro destino. E mi chiedo se ci fosse stato chiesto prima di venire al mondo, magari guardandolo dall'alto come me da questo aereo oggi, mi chiedo se avessimo deciso lo stesso di lasciare le mani, raddrizzare le gambe e saltarvi dentro. Anche fino a qualche anno fa avrei risposto che si, che ne valeva comunque la pena, per l'amore, per il mare, per il cielo, e come scrivevo in questo diario virtuale ero sempre convinta che la somma di quello che mi era rimasto fosse maggiore di quello che avevo perduto, e che la morte sarebbe stata un'esperienza necessaria da vivere dopo tutto questo bene e tutto questo male. Ma oggi, oggi davvero non saprei rispondere. Oggi che  il dolore è ancora più grande di ieri, ancora più profondo anche di quello di un anno fa, un dolore così costante che anche pensare di esplodere in volo, oggi, mi fa sorridere, mi fa vivere questo viaggio con serenità, perché sono già così in alto che potrei arrivare più velocemente in un mondo senza dolore, diverso da quello che vedo da quassù, così bello e così brutto, così pieno di orrore, un orrore che copre qualsiasi piccola gioia, perché quando arrivi ad un certo punto del tuo cammino, quando comunque sei compiuto, e tutto il resto che farai è solo un di più, le gioie sono diverse da un tempo, e non sono mai sole, si portano dietro malinconia, rimpianto, sensazione di perdita. Certo nessuno lo sa a parte te, il mondo crede che si vada avanti, che il tempo sia un amico, quell'amico fedele che prima o poi ti uccide, ma mentre ti vedi invecciare, mentre ci sono giorni in cui ti senti cento anni nel cuore, in quei giorni sai che non sei più lo stesso, che sei più vulnerabile, perchè non è vero che il dolore rende più forti o peggiori in qualche caso. Se si pensa che qualsiasi cosa serve a farti solo diventare chi sei, allora spesso tutto questo orrore emotivo non serve più a nulla, se non a farti diventare preda di altre brutture, di attacchi inaspettati che non hai più la forza di fronteggiare, di altro desiderio di solitudine. Io sono sempre io, tu sei sempre tu ho scritto mesi fa parafrasando S.Agostino, ma se è vero che rimarremo per sempre quello che siamo state l'una per l'altra, io e Lavinia, o l'uno per l'altra, io e mio padre, io che sono ancora qui, non sono più io. Non sono migliore e non sono peggiore, e sicuramente non sono nemmeno piu forte, forse sarà un tempo molto lontano a dirmi cosa sono diventata, in che misura sono cambiata, o forse non avrò la capacità, la possibiltà magari, di capirlo. Nel frattempo il mondo sotto non si vede neanche più, non si vede terra e non si vede mare, ogni tanto ho un sussulto nello scorgere il mio pallido riflesso, vedo gli stessi occhi di mio padre che mi fissano da chissà dove, e mentre prendo atto del fatto che le rughe ormai accarezzano anche i miei, sorrido con sgomento pensando a te che ci tenevi tanto a non averne, che volevi  ricacciarle indietro ad ogni costo, rallentare la loro corsa il più possibile fino quasi  a fermarle! E non vedo più nulla, la vista mi si offusca completamente pensando allo scherzo macabro che il destino ci ha giocato, due volte, che il destino ha giocato soprattutto a te: mentre io invecchio, tu, sei rimasta bella per sempre.

giovedì 15 dicembre 2016

Tutto il dolore che conosco.

Conosco il dolore 
lo conosco perchè il corpo lo "sente" più della gioia, più del dolore fisico, morale o spirituale.
Conosco il dolore perchè il corpo lo sente più del piacere, più dell'estasi.
Conosco il dolore perchè il corpo lo sente più dell'amore.
E' una  sensazione autentica, forse l'unica vera, reale sempre, come l'istinto, solo che fa molto, molto più male.
Conosco il dolore perchè sono troppi oggi i momenti in cui mi fermo smarrita e aspetto, aspetto che il cuore si fermi, è lui: il dolore, il dolore delle "cose" perdute.
Conosco il dolore, il dolore dell'abbandono affettivo, il dolore del tradimento, del colpo che non ti aspetti, da qualcuno, da qualcosa, dalla vita, il dolore della perdita.
Conosco il dolore perchè senza nemmeno rendermene conto gia all'inizio della mia vita ho cominciato a imparare a far a meno di chi amavo, delle persone da cui dipendevo affettivamente, o pensavo necessarie per la mia sopravvivenza e per quella del mio cuore, e ancora adesso continuo a doverlo imparare, giorno dopo giorno, in maniera diversa e uguale per certi aspetti, cambiano le persone, le modalità, ma non cambia lo sgomento. Cambia il dolore, che diventa più forte, più intenso, più consapevole, non cambia chi sei, ma troppe sono le cose che dentro di te cambiano volto, voce, suono, odore, sapore, significato.
Tutto questo percorso, mi ha reso diversa da quella gente che nella vita non riesce a bastarsi, mai, da tutta quella tanta gente che deve stare sempre intorno, insieme,"davanti" a qualcuno per non dover restare mai davanti a se stessa. Mi ha reso diversa perchè amo il silenzio e quella solitudine che percepisco come amica, fedele, alleata, ristoratrice e generatrice di pace anche quando dentro di me pace non ce nè. Anche quando dentro di me sento solo guerra, di sentimernti, contraddizioni, emozioni, pensieri. Tutto questo mi ha reso diversa perchè mi ha reso libera, perchè l'essere sola non mi fa mai sentire "da sola", la compagnia che mi faccio mi piace più di qualsiasi altra mi possano fare.
Conosco il dolore,
 vero, profondo, che ti spezza le ginocchia, la schiena, le braccia, il cuore e la mente, conosco, sento forte il dolore e questo non mi rende immune da esso, o più forte, o più dura, o meno terrorizzata al pensiero di altro dolore che puntuale arriverà, ancora nuovo, ancora forte. 
Vivo con gli occhi lucidi e lo sguardo perso spesso in mondi vissuti e perduti, irrimediabilmente. Vivo con il mio sorriso intatto, come di bambina. Vivo e rido anche se ridere oggi mi fa tanto, troppo male. Vivo anche se tutto, oggi, mi fa troppo male. 
Vivo e aspetto di imparare nuovi modi di convivere con tutto il dolore che conosco. 
Vivo e prego perchè l'impensabile sempre in agguato, non venga di nuovo, ancora, a bussare alla mia porta.
 

martedì 18 ottobre 2016

Io sono sempre io, tu sei sempre tu..

Ogni volta che ci vediamo, è l'ultima volta che ci vediamo. Ogni volta che ci salutiamo, è l'ultima volta che ci salutiamo. Ogni volta che ci diamo un bacio, che ci abbracciamo, che ci diciamo a dopo, è sempre l'ultima volta che lo facciamo. E se poi l'ultima non è, allora lo sarà la prossima o quella dopo ancora, e così fino alla fine. Ogni volta che ci mandiamo un messaggio, è sempre l'ultima volta che lo facciamo. Ogni volta che rimandiamo un incontro, una telefonata, una conversazione, quell'incontro, quella telefonata, quella conversazione potrebbero non avvenire mai più. Perchè la vita è così, imprevedibile, dura, e ci mette continuamente alla prova con quelli che forse, per lei, sono solo scherzi, perché magari solo lei sa per certo che questa vita non finisce nella vita qui. Ma oggi, oggi che niente mi consola, oggi che niente mi da pace, oggi che niente mi da speranza e fiducia, non dico nel futuro, ma in domani, dopodomani o fra un'ora, oggi più di eri mi sembra tutto vano, insopportabile, superfluo, effimero, evanescente, e peggio ancora: inutile. Oggi che mi aggiro per le vie del centro come un fantasma, oggi vorrei solo che nessuno mi vedesse, perchè io, non vedo più nessuno. Non mi volto mai a guardare le vetrine dei negozi, perché tutte quelle vetrine le guardavo con lei, e lei, adesso, non può farlo più. Non entro più in quei negozi dove entravo con lei, perché la rivedo mentre si prova quasi tutto, gioiosa e vanitosa come una bella bambina, e mi sembra di crollare, di essere li li per sgretolarmi in un momento. La rivedo mentre ridendo mi scatta delle foto dopo avermi costretta ad indossare degli occhiali ridicoli, o delle giacche dai colori improbabili che lei sa io non indosserei mai. Ridendo con quel sorriso aperto, contagioso, sincero, quel sorriso che ci costringe a buttare un po' indietro la testa, quel sorriso che abbiamo noi donne di questa nostra famiglia. Siamo donne esili, tutte, che a guardarci sembriamo fragili come cristallo, ma ci illudevamo di essere forti e resistenti come querce. Adesso invece quel cristallo dentro di noi è andato in frantumi, e i cocci sono così taglienti e dalle forme così diverse, irregolari, che non sarà facile ricomporli in un nucleo, non lo stesso, perchè nulla sarà più come prima. Mi porto dentro un canto che viene da lontano, molto lontano,e nella mia vita onirica viviamo insieme sorridenti come sempre, a ironizzare e sdrammatizzare su tutto e tutti, a fare progetti di vita, di viaggio e partenze definitive. Ma l'unica definitiva partenza è stata la sua, e nessuno di noi è riuscito a fermare quel mezzo con cui se ne è andata via, magari solo un po' più lontano. Nessuno di noi è riuscito a fermare quello che ce l'ha strappata via con una violenza inaudita quanto inaspettata e ingiusta. E adesso, mentre mi aggiro per le strade sentendo che la vita intorno continua, continua mentre il nostro mondo si è fermato, piegata da un dolore che a momenti mi sembra di non poter più sopportare, mi ritrovo a pensare che nessuno dovrebbe più cantare e ballare e ridere, che tutto dovrebbe fermarsi e piangere per lei che non può cantare più, ridere più, sentire più, vivere più. Vorrei che il mondo intorno facesse silenzio. Lo stesso desolante silenzio che ho io dentro, quel silenzio che mi permette di ascoltare quel canto lontano,lontano, lontano..Ti avevo vissuta bambina, sorella, poi ragazzina, ti avevo ritrovato donna sempre un passo avanti a me, eri diventata il mio consulente di vita, ci eravamo ritrovate in un bisogno reciproco che ci faceva vivere fianco a fianco, non c'era niente che io facessi che tu non sapessi, non c'era niente che facessi tu che io non conoscessi. E ora eccomi qui, di nuovo senza di te, a scoprire una solitudine che non conoscevo, sola perché non mi chiamerai più per la colazione e gli acquisti e le consulenze amorose e non vivremo insieme quel bambino su cui avevamo fatto tanti progetti. Sola perché nessuno mi chiamerà più come mi chiamavi tu. E mi sembra di sentirti dire che ho il dovere di vivere, ma ti prego, ti prego, ti prego, non rimproverarmi se ancora non riesco nemmeno a concepirlo. Non rimproverarmi se me ne starò qui ferma per un po', non rimproverarmi come sapevi fare tu, se non riesco a trovare un modo per andare avanti, una qualunque ragione per sorridere, un modo per non pensare continuamente a te tutto il giorno, tutta la notte, ogni momento della mia vita. Non rimproverarmi perché davanti al dolore di tua madre mi sento in colpa per essere rimasta io, qui, viva. Non rimproverarmi se non riesco ancora a stare troppo vicino al tuo bambino, lo guardo e vedo te, e il cuore mi fa male mentre penso che forse, adesso, sarà solo attraverso lui che riusciremo ad essere noi due insieme, ancora, continueremo ad essere ciò che siamo state l'una per l'altra, perché io sono sempre io e tu sei sempre tu. Non rimproverarmi perché non avrei mai pensato di vederti come ti ho vista, di piangerti come ti ho pianto, di pregare, di supplicare affinchè ti risvegliassi. Non avrei mai pensato di dover andare avanti di nuovo senza di te. Non rimproverarmi perchè ho bisogno di vivere il mio dolore, tutto, fino in fondo, un dolore senza scampo, che mi lascia svuotata e asciutta, arida. Un dolore che non sa come trovare un senso a tutte le cose in un mondo dove tu non ci sei più, non mi cammini più a fianco ma dentro, non mi chiami , non mi parli, non ridi se non nella mia testa, nei miei sogni, non ridi più con me e di me. Aspetta, abbi pazienza con me, ancora, non te ne andare, usa le mie mani per fare un gesto tuo, la mia gola per ridere, la mia voce per un sussurro al tuo piccolo, i miei occhi per lanciare uno sguardo carico di cosa vuoi tu a chi vuoi tu, e soprattutto, continua a guardarmi con gli occhi di tuo figlio. Posso farcela vedrai, ma solo perchè lo vuoi tu, come avresti fatto tu per me, farò tutto come vuoi tu, fino a quando non verrà il tempo in cui ci ricongiungeremo. Ed è solo grazie a questo pensiero che oggi la morte mi fa meno paura. Si, devo farcela, posso farcela, perchè tu sapevi, sai,  che posso, ma non oggi. Oggi no, e domani, sarà ancora, di nuovo, oggi.

sabato 9 aprile 2016

Maria

Se ne è andata in silenzio Maria, in un'alba piovosa di fine marzo, leggera come in un soffio, com'era lei. Le piaceva la pioggia. Mi piace pensare che proprio quel suono che lei tanto amava l'abbia accompagnata dolcemente, si, mi piace pensare che l'abbia cullata, per tutto il tempo, per tutto il viaggio. Aveva occhi brillanti Maria, brillanti come la sua intelligenza, come la luce che tutta la sua persona emanava, occhi vividi, dello stesso colore del cielo quando è gonfio d'acqua, del cielo prima del temporale. Era forte Maria, piccolissima e fortissima, la nostra roccia, uno scoglio al quale non potevamo far a meno di restare aggrappati , forza lei stessa, troppo forte anche per i dolori grandi, e le delusioni, grandi, che la vita non le ha risparmiato. Niente l'aveva mai piegata, abbattuta, niente fino alla morte del suo compagno di vita, del suo custode, del suo figlio più amato, vissuto, vicino. Abituata a dissimulare più i dolori che le gioie, ci siamo illusi che potesse andare avanti, che potesse superarlo con la complicità di quell'età che a un certo punto confonde, annebbia i pensieri, i ricordi, lo scorrere del tempo. Ci siamo illusi che come sempre fosse più forte di noi, e ha provato ad esserlo, ha provato con tutta se stessa, per noi, in nessun momento per lei. Ha provato da madre, da donna che ha saputo solo amare. Sempre. Ha provato da amica fedele, da esempio, per dare coraggio a noi che di quel dolore ancora non sappiamo parlare, scrivere. Maria ha provato, come poteva, come sapeva, per insegnarci come affrontarlo, come viverlo per superarlo, vincerlo, mentre lei faceva uno sforzo sovrumano per conviverci, quello sforzo che questa volta ce l'ha portata via, pian piano, come in un soffio leggero. Sono convinta che anche stavolta abbia vinto lei,su tutto e tutti, che sia stata lei a decidere di andar via pensando per una volta solo a se stessa, alla sua stanchezza, al desiderio di ricongiungersi ai suoi figli e gli altri che aveva amato. In noi che ha ritenuto ormai in grado di farcela senza di lei, ha lasciato un vuoto colmo di amorosa pienezza, del suo sorriso, delle sue parole, di quel suo profumo, adesso quasi palpabile, vivo, almeno quanto il ricordo della luce di quei suoi occhi chiari. Solo il dolore spegne quella luce, quel dolore che la dimensione umana riesce a sentire ancora più forte dell'amore. Se ne è andata in un'alba di pioggia Maria, e in ogni goccia di pioggia non potrò fare a meno di cercarla per tutto il tempo di questa mia vita che lei ha reso migliore. Per tutto il tempo della vita che mi resta. Sempre.

giovedì 7 gennaio 2016

Tutto il bene e tutto il male del mondo.

Gli anni che passano sono come le persone, non sono mai interamente buoni o interamente cattivi, sono la vita. Perchè la vita è questa, per tutti. Non esistono persone nate con grandi fortune che non abbiano conosciuto i dolori più grandi, che non siano state colpite da sciagure, e non esistono persone meno fortunate che non abbiamo provato vere, autentiche gioie. A tutti è dato tutto il bene e tutto il male del mondo, perché la vita non sta nel bilancio di questi, non sta soltanto nel più grande dei dolori che prima o poi arriva,arriva e ti colpisce come un'ascia dritta in mezzo alla schiena: un tradimento a cui non sai se riuscirai a sopravvivere. E la vita non sta forse nemmeno nel più grande degli amori che ognuno prova, a suo modo, come può, come sa, come è, e che magari arriva all'improvviso anche lui, anche se non lo cercavi, anche se non lo volevi, anche se magari nemmeno lo meritavi, esattamente come il male. La vita ad un certo punto non ti sembra abitare più nemmeno in tutto quello che cerchiamo di imparare, di capire, di interiorizzare nell'illusione che possa aiutarci a superare qualunque cosa nel modo migliore. E capisci anche, con sgomento, che non è nemmeno la forza ad aiutarci,nè quella del sapere, nè quella del sentire, non è la forza del carattere, della personalità, di una razionalità dura, o quella della vita che è più forte di tutto, capisci che non è la forza, ma la paura che ci fa sopravvivere. E'la paura che ci da il coraggio.E la mia vita non è tutti i libri che ho letto e che amo e che vorrei aver scritto, tutti i quadri che ho osservato con stupore e che vorrei aver dipinto, tutte le opere che affascinata avrei voluto aver progettato, i bambini che avrei voluto fossero miei,non è solo tutto quello che amo e che mi ha salvata dagli errori. La vita è sempre la consapevolezza di un attimo nelle cose ordinarie, di una vita ordinaria in un mondo in fondo tutto uguale ed ordinario che di straordinario produce solo quell' attimo che un giorno senti nelle narici, nell'odore delle strade bagnate dopo la pioggia, nel colore di un cielo qualsiasi in cui si stagliano le cupole e le guglie di una chiesa a cui non avevi mai fatto caso prima di quel minuto ferma ad un semaforo. La vita, se ne sta nascosta nel calore emanato dal corpo nudo nell'abbraccio di quell'uomo che ami, in quell'intreccio eterno di tutte le vite che sono state e saranno. E' l'aria che respiri camminando da sola pensando ai ti amo che ti sei sentita dire e che hai ricambiato, anche quando poi è finita, perché finisce sempre in alcune vite, forse quelle più vere, più sofferte, più capite, più sprecate. Perchè non è vero che la vita non è mai sprecata, che non buttiamo via doni, talenti, amore, tempo e quant'altro. Finisce perché ci sono ferite che non possono diventare cicatrici, e se succede poi è tardi, perché non è vero neanche che c'è sempre tempo per tutto. Finisce quando hai passato tutta la vita cercando di trasformare in amore le persone più importanti della tua vita. Ma anche amore si nasce e nessuno può diventarlo se non lo è.

giovedì 16 aprile 2015

Come l'amore.

Anche quando sei adulto, anche quando credi di essere del tutto definito, di avere compreso finalmente tutti i molti errori e le poche cose giuste della tua vita,anche dopo che hai passato e ripassato a setaccio tutto ciò che era possibile, e ti credi e ti pensi come adulto anche nei giorni in cui ti senti solo un bambino vecchio nel cuore:succede qualcosa, inizi qualcosa, o finisce qualcosa che ti costringe a rivedere, ripensare tutto. Di nuovo. Succede qualcosa che spalanca nuove finestre su di te, finestre che tenevi ben chiuse, perché un alibi di scorta bisogna sempre averlo pronto. A forzare quelle mie finestre sono stati i cavalli, i cavalli e quell'uomo a cui io stessa tanto tempo fa cercavo di spiegare il significato di quella dimensione quasi ultraterrena che era il contatto con loro. E com'è noto, ci sono allievi nati per superare il maestro.E, ci sono uomini fatti per riportarti all'equilibrio delle cose del mondo, perché persone come me, potrebbero perdersi dentro e dietro la sofferenza, se non ci fosse qualcuno a ricordargli che tanto male esiste per tenere in equilibrio altrettanto bene, e che tutto fa parte di questa sola vitache conosciamo, vita che è vivere e morire, esserci anche per un momento, e che quel momento devi saperlo vedere. Quando lo guardo diventare tutt'uno con i suoi cavalli, cavalcare come in una danza, con quel modo che solo lui ha, mi ricordo di quando eravamo ragazzi, e mi accorgo che ci sono cose in lui, in noi, che non sono cambiate nonostante qualche ruga intorno agli occhi. In più lui ha solo imparato la dolcezza, ma continua ad essere un uomo che domina tutto: i cavalli, gli animali tutti, gli uomini, la vita, il male fisico, e una volta anche le donne.Il padrone, il capo, deve essere lui, sa essere lui, con tutte le responsabilità che questo comporta,e il suo saper essere tutto questo ci fa sentire al sicuro. Ha imparato la dolcezza da quando ha capito che non può dominare solo l'amore che sente, da quando con tutta quella stessa forza che lo contraddistingue, si è arreso, e da questo, solo da questo, si lascia dominare. Osservando lui me a cavallo, ha sentito che poteva insegnarmi a dominare la stanchezza, la paura di non farcela, la risolutezza, e lo ha fatto. Ha capito che con l'aiuto dei cavalli poteva "tirarmi" fuori, forzare le mie finestre e farmi uscire. E così su Oscar “il mio cavallo” ho imparato a non arrendermi, ho capito che ero una che mollava quando le cose si facevano difficili, nel lavoro, nelle relazioni, nelle cose delle vita, mollavo e tornavo a quello che mi riusciva più facile, quando avrei potuto fare di più, molto di più, quando avrei potuto avere quello che volevo, fare quello che volevo, senza pensare che forse non ne ero capace, che forse non era per me, perchè era più facile non sapere, non misurarmi con me stessa. Su Oscar e anche guardandolo da terra dopo rovinose cadute, ho ricordato che sono anche tanto altro, e ancora di più posso diventare. Ho compreso che, finalmente, adesso, sono una che non molla più, che posso fare qualunque cosa io voglia davvero quando mi impongo di andare oltre la paura, quando con coraggio la dimentico, la supero, la vinco. Adesso so che sono capace di rialzarmi ammaccata e dolorante per rimontare in sella subito, e poi domani, e domani ancora, e sempre. Ho imparato che posso non avere paura persino dell'imponderabile. Che posso non avere paura anche quando potrei, anche quando dovrei, che posso dominarla e godermi il momento che è sempre di una bellezza incommensurabile. Quando guardo i cavalli giocare, correre, mostrare la loro forza, se mai ne fossero coscienti, qualcosa mi tiene attaccata al terreno anche quando sono dentro il loro cerchio, qualcosa mi tiene ferma, immobile, anche quando non mi sembra possibile che all'ultimo momento con tanta grazia e leggerezza possano spostarsi per non toccarmi, uccidermi anche. Non mi muovo perché quello spettacolo di bellezza e forza mi sembra oltre le mie capacità di assorbimento. Mi sembra che qualcosa travasi fuori da me perché il mio corpo non ce la fa a contenere quelle sensazioni; capita che mi si appanni la vista, che mi si spezzi la lingua e che il cuore cominci a battere talmente forte che non so se esploderà o no, e quando. Li guardo e ogni parte del corpo mi fa male perché la loro bellezza è dolorosa, talmente dolorosa da crearmi uno squarcio dentro che so di non potere ricucire. Li guardo e penso che è bello sentire di nuovo tutto questo, sentirmi così, guardarli e pensare che si, sono di una dolorosa bellezza : come l'amore.